Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Che cosa spinge un distinto signore prossimo alla pensione, papà di figli grandi e dal girovita importante, a indossare un aderentissimo body e passare un’interminabile domenica in riva al lago in attesa della sua regata?

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Visto che parliamo di un canottiere master, ovvero di un individuo cui non basta più fare ogni tanto un giro in barca, ma che ha deciso di tornare a fare agonismo nonostante l’età, la risposta è semplice. Chiamatele emozioni.

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Così, una domenica di aprile il nostro eroe esce di casa alle 7,30 del mattino per recarsi a Monate, uno dei laghi pedemontani di cui è ricca la Lombardia. Giunto a destinazione, insieme ad altri individui simili a lui, solleva barche, stringe bulloni e si assoggetta a una lunga attesa, sentendo salire dentro di sé un mix di smania e preoccupazione. Fa dieci volte visita alla toilette, restando pensieroso nonostante intorno a lui ci sia una grande festa, che vede protagonisti innumerevoli ragazzini, a volte non più alti di uno scricciolo.

barche

Mangia un panino e si informa sul risultato della sua squadra di calcio del cuore, purtroppo negativo, aggiungendo delusione alla preoccupazione. Man mano che si avvicina l’ora della sua regata, la preoccupazione si trasforma in qualcosa di diverso: voglia di scappare, paura di essere inadeguato alla situazione nella quale è andato a cacciarsi invece di starsene a casa, sul divano a sonnecchiare. Alle 14.30, a mezz’ora dall’ora “X”, porta i remi al pontile e insieme ai suoi compagni si carica in spalla una sottile feluca bianca lunga 12 metri.

Rower

Il dado è tratto, non può tornare indietro. Sale sulla feluca e si allontana dal pontile e dalla folla di ragazzini e genitori: finalmente solo sulle acque d’argento del piccolo lago. Ma non è tempo di fare turismo né di godersi il silenzio. Ci si avvicina alla linea di partenza: c’è qualcuno che dà ordini con un megafono: “Tre avanti, basta così. Quattro un paio di metri indietro. Fermo Quattro. Attenzione… Via!” . I muscoli sono contratti all’interno dello stomaco, non c’è più tempo per la preoccupazione né per la paura: è il momento di remare, di farlo bene.

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Si cerca di lanciare la barca e lui converte tutta la negatività della mattinata in uno sforzo duro, ma liberatorio: ogni colpo in acqua è come un pugno al bersaglio grosso di un immaginario avversario. Respira poco e male, ma dentro di lui sale un’ebbrezza già vissuta tanti anni fa: una botta di adrenalina che lo pervade e gli dà la carica per continuare fino all’ultimo colpo. Peccato che ci sia qualche schizzo di troppo e che le altre feluche avversarie si siano tutte già involate verso il traguardo. Sono trascorsi circa quattro minuti e un suono un po’ irriverente avverte che la regata è finita: ora si ha diritto a respirare e guardarsi intorno.

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Quinti su cinque, ma si è trattato di un nuovo esordio dopo quarantadue anni dall’ultima volta. Va bene anche così. L’adrenalina si è trasformata in qualcosa di caldo, dolce ed estremamente consolatorio: la serotonina. Tornato a riva, scambia qualche battuta con altri avversari, dandosi appuntamento alla prossima regata. Poi, smonta la barca e va a bere la sua birra. Ecco cosa lo ha spinto a rimettersi in gioco: la voglia di vivere ancora una volta queste emozioni, di salire e scendere sulle montagne russe della propria autostima, di riprovare quei crampi allo stomaco e produrre gorghi in acqua, cercando di allontanarsi da essi il più velocemente possibile. In fondo questa è la vita: fare buchi nell’acqua mentre la tua storia scorre via, purtroppo con fretta eccessiva.

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Un commento

  1. Sembra la mia storia. E’ VERO mi sono sentito cosi, quando ho ripreso a vogare dopo 48 anni, sono felice di aver ricominciato. Ho dovuto fermarmi per ragioni di salute ma spero di riprendere quanto prima.

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