Quello che i canottieri non dicono

Nel canottaggio, il peggior avversario che dovrete mai affrontare siete voi. Al mondo, non esiste un atleta che non si sia sentito ripetere questa frase dal proprio allenatore. E’ successo anche a me.

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In parte è vero. Tuttavia, quello che i canottieri non dicono è che in questo sport gli amici vanno e vengono, ma i nemici si accumulano. Perché se la nemesi di un atleta è l’atleta stesso, al secondo posto c’è proprio il suo allenatore.

Quello che i canottieri non dicono

E’ un paradosso, ma accade. E nella maggior parte dei casi, la persona incaricata di farti crescere sportivamente non capisce che ti sta remando contro. Trasmettere la propria conoscenza è un compito difficile, nessuno lo nega. Tuttavia, con il passare del tempo gli allenatori hanno dimenticato una cosa fondamentale: insegnando s’impara. Quello tra maestro e allievo non è un monologo. Anche il canottiere più sgangherato può insegnare e far scoprire loro cose che nemmeno immaginavano.

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C’è un malessere comune nei circoli: l’apatia. Letteralmente significa “senza emozione” ed è la conseguenza di una mancanza di motivazione. In un atleta è grave, in un allenatore è peggio. Perché quando si parla di stimoli, l’errore è pensare che sia solo un problema degli atleti. Non è così. Tempo fa, Gigi Ganino mi disse: «Non esiste soddisfazione più grande che allenare qualcuno e portarlo a vincere un mondiale o un’Olimpiade. Chi sostiene il contrario, di canottaggio non capisce nulla».

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Allora non capisco nulla. Scuotendo la testa, infatti, gli risposi che ad allenare Francesco Fossi erano capaci tutti. Non misuri la tua bravura con atleti già fisicamente e mentalmente pronti per vincere. Il successo è aiutare chi è in difficoltà dal principio. Se un tecnico vuole davvero mettersi alla prova, la vera sfida è trovarsi davanti uno come me. Purtroppo, sono pochi quelli che riescono ad andare oltre quello che vedono, che sanno o credono di sapere. Gli altri si limitano a trasmettere nello stesso modo ciò che è stato insegnato loro.

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 Peccato che gli alunni non siano tutti uguali. Ma gli allenatori sono quadrati e inquadrati. Chi resta indietro è perduto per sempre. Perché per gli slanci generosi o i sogni matti non c’è più spazio. Non è una critica, ma un appello dedicato agli allenatori che hanno smarrito la via. Destatevi dal letargo, perché i circoli d’Italia sono pieni di sfide più stimolanti di un’Olimpiade. Guardateli negli occhi, cercate gli illusi, i visionari, gli esclusi. Chi viene deriso e giudicato, ma non si arrende. Cercatela la vostra sfida. Ogni giorno. Se non è in nessun posto, cercate in un altro, perché lei è seduta su qualche remoergometro, ad aspettare voi.

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4 Commenti

  1. Ciao Giuseppe,
    Mi è piaciuto molto il tuo articolo. Riflette un po’ la mia esperienza negl’anni.
    Da giovane in Italia ero come il citato Ganino. Incosciente cercavo di rimediare ai miei fallimenti come atleta attraverso i miei giovani rematori. Spingendo via mio malgrado quelli che non ritenevo all’altezza di un’olimpiade.
    Quando sono venuto qui negli USA ho imparato che praticamente c’è un’intera nazione a cui non non frega niente delle olimpiadi. In cui l’apice dello sport è quello a livello universitario.
    Ho imparato il “customer service”. Tu come allenatore sei al servizio degli atleti e non gli atleti al tuo servizio (ci sono delle considerazioni di carattere socio-psicologico da fare ma per brevità le salto).
    Ho imparato che il rispetto deve essere reciproco e che i tuoi obiettivi come allenatore devono coincidere con quelli dell’atleta.
    Ho imparato che si può imparare da tutti. Sia dall’atleta disabile che da quello olimpionico. Dal master al ragazzino/a che si appresta al suo primo giro in barca.
    Si può e si deve imparare da tutto e tutti.
    Rinchiudersi dentro una serie di limiti ti rende una persona limitata.
    Un abbraccio vado ad imparare un po’ di più.
    Marco

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