Luigi Magnano: alla fine ho vinto io

Il mio nome è Luigi Magnano. Sono nato a Siracusa nel 1986 e ho iniziato a remare a 16 anni. Il canottaggio è un’esperienza che mi ha segnato e insegnato, ma è stato anche un’àncora di salvezza. Con la fatica, che ho imparato ad accettare e apprezzare, sono arrivati anche i successi scolastici, soprattutto all’università. Ed è in questo delicato momento, in cui ho bisogno di disciplinare le mie giornate e farmi trainare dalla bellezza di questo sport, che mio padre quasi mi impone di smettere. Sostiene che dedico troppo tempo a questo sport, quando invece dovrei studiare. Litighiamo e mi trasferisco a Catania. Pur di farmi tornare, decide di non mantenermi più. Allora, aiuto Diego D’Arrigo, tecnico del Cus Catania, ad allenare i piccoli (8-13 anni). Intanto, chiedo il trasferimento presso un’importante società remiera al nord. E’ il mio sogno. Farei di tutto pur di entrare, ma non sono abbastanza forte. Comunque, decido di provarci.

victory

L’incontro con l’allenatore locale è un disastro. Dice che se non ho ancora ottenuto alcun risultato, sarebbe il caso di smettere. Però, mi concede di fare alcuni allenamenti. Non mi saluta, non prende i miei tempi, non mi corregge gli errori. Un po’ alla volta, inizia ad allontanarmi dalla squadra. Finché dice che non mi vuole più vedere al di fuori degli orari stabiliti per il corso di avviamento. Provo per qualche settimana, ma niente da fare. Sono troppo forte per quel corso, ma troppo scarso – o almeno così parrebbe – per la squadra agonistica. Così, conosco un gruppo di atleti del Cus Milano. Gli racconto la mia storia e mi chiedono di tesserarmi con loro. Gli allenamenti sono un’agonia, non perché sono laceranti, quanto perché ogni giorno devo prendere l’auto dopo le lezioni all’università e farmi ore di strada nel traffico per arrivare all’Idroscalo. Nonostante tutto, facciamo qualche gara. La squadra, però, si sfascia. Richiamo Diego. Magari con una lettera della società catanese, l’allenatore potrebbe concedermi una barca con cui allenarmi. E’ quello che succede.

Luigi Magnano: ecco la mia storia

Mi danno un singolo del 1988. Pesa quanto una barca da palio, ma non mi importa. L’allenatore in seconda mi nota. Gli dico che sono disposto ad allenarmi anche 12 volte la settimana per migliorare e ottenere qualche risultato. Vuole darmi fiducia. Mi farà uscire con un esordiente e faremo il doppio ai campionati italiani. Il giorno dopo, però, il suo atteggiamento cambia. Ha consultato la dirigenza: non sarà possibile fare i campionati, non potrà farci video né seguirci. Ci concede solo un campionato universitario. Lo prepariamo bene, nonostante il capo allenatore continui a dirmi che non devo andare più ad allenarmi fuori orario. Non c’è neanche la barca. Per cui il doppio lo proviamo solo per una settimana. Il giorno della gara provano a ritirare il nostro equipaggio: la ragione è che il capo allenatore aveva iscritto un altro doppio a una gara prima della nostra e non ci sarebbe il tempo per effettuare il cambio imbarcazioni. Il giudice arbitro dice che non è più possibile, perché mancano pochi minuti all’inizio. Allora ci danno questa dannatissima barca e andiamo. Arriviamo quarti, io che remo da 5 anni e un esordiente che ha iniziato pochi mesi prima. Per me è come una vittoria ai mondiali. Non è della stessa opinione il capo allenatore. Ci informa che questa era la nostra prima e ultima gara a un campionato con il body della società.

mano

Mi tolgono anche il singolo. Posso solo fare remoergometro. Ormai, sono un emarginato ed è in questo stato che incontro un altro atleta. Anche lui è nella mia stessa situazione. Gli andrebbe di ricominciare e conosce un allenatore di Piacenza. C’è una società, la Vittorino Da Feltre. E’ nuova, ma vanta già un gran numero di atleti e tanta voglia di fare. Partiamo il giorno dopo e così ricomincia la nostra vita da atleti nomadi. Siamo figli di un canottaggio minore e dobbiamo accettarlo. L’allenatore Francesco Solenghi, detto Sole, è pieno di brio. Riusciamo a fare qualche gara, non andiamo male, ma la squadra è ancora in rodaggio. Però, ricevo un sms che dice “Ciao Luigi, mi spiace non essere stato in grado di valorizzarti. Mi mancherete tutti. Un abbraccio. Sole”. Una settimana dopo, se n’è andato in punta di piedi. Tumore al cervello. Ha combattuto, ma non ce l’ha fatta.

remi-in-acqua

Di tornare nella vecchia società non se ne parla. Anche se è qui che nel 2010 ho conosciuto la mia ragazza, Maria. Anche lei è passata attraverso simili esperienze e non ne vuole più sapere. Molliamo entrambi. Mi trasferisco per lavoro a Brescia. Passano 10 mesi. Il mondo lavorativo è troppo disgraziato, mi scontro con una realtà che mi piacerebbe ignorare. La dignità dei giovani medici non esiste, non ci insegnano nulla e ci usano come passacarte per fare le fotocopie. Dico basta e mi licenzio. Sbarco a Dover il 9 di maggio 2013. E’ l’inizio di una nuova vita. Trovo subito lavoro a Brighton come junior doctor in cardiochirurgia. Ci sono delle società di canottaggio, ma sono troppo ferito dalle esperienze passate. Imbrocco la strada giusta e mi trasferisco al Royal National Orthopaedic Hospital, il top in tutta la Gran Bretagna.

Noseda-Padula

Maria viene a vivere con me. Trova lavoro dopo 2 mesi. Ed è qui che scatta il miracolo: lei mi dice “torniamo a fare canottaggio?”. Dopo un attimo di incertezza, abbiamo ripreso. Io alla Tideway Scullers School, lei alla porta accanto, presso la Mortlake/Anglian/Alpha Boat Club. D’altronde, qualunque canottiere ha il desiderio di ottenere qualche risultato a livello locale/nazionale. E io, nonostante abbia 29 anni e qualche chilo di troppo, non mi sento da meno. Il futuro è ancora da scrivere, ma qualunque scelta faremo sarà un successo. Noi siamo quello che siamo, perché questo sport ci ha forgiato. E’ stato metafora della nostra stessa esistenza. Siamo canottieri, attraverso le difficoltà cresciamo e ci fortifichiamo.

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