Sul carrello della mia barca mi sono seduto e ho pianto

Sono sicuro che il canottaggio non mi ami. Non importa. Lo amo io. Anzi no. Lo odio, ma non come vorrei. Mi piacerebbe invitarlo a uscire dalla mia testa, ma non ci riesco. Perché questo sport è subdolo. Prima ti maltratta ogni giorno. Poi, quando sei distratto, ti lascia qualcosa dentro.

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Solo quando te ne vai, scopri che era la felicità. E’ così che mi ha fregato. Proprio quando pensavo che non ci saremmo incontrati più. E invece, alle 7.30 di un giorno qualunque, sul carrello della mia barca mi sono seduto e ho pianto.

Lacrime come gocce di memoria

Qualcuno ha scritto che l’acqua non ha memoria. Le lacrime sì. Ecco perché un canottiere non può avere gli occhi asciutti. Per non dimenticare. Il canottaggio non è solo uno sport, ma una collezione di attimi. Oggi, nonostante la corrente, sono tranquillo. In acqua la mia mente è leggera e il corpo sa cosa fare. Lo sguardo è risoluto e le mani salde sui remi.

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È questa la parte che preferisco del canottaggio. Prima che succeda. Il momento più bello di tutto questo sport è quel secondo prima che il remo entri in acqua e tutto abbia inizio. Quel secondo non è secondo a nessuno. Perché quando sono in barca, un milione di cose potrebbero essere andate male, ma non importa. Finché sono in acqua, quello che conta siamo io e i remi.

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Anche se dopo trecento metri ho perso sensibilità nell’80 per cento del corpo. Però, in me qualcosa è cambiato. Una volta era la testa a cedere per prima. Adesso no. Ho la mente lucida e il resto del corpo aggrappato al cervello. Ho sempre avuto problemi a trovare l’acqua. Non oggi. Continuo a infilarmi in un tubo e a ripetere “Rubala. Rubala. Rubala”. Ancora una volta. Ancora una volta. Ancora una volta.

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Quando supero un doppio sono contento. Per oggi potrebbe bastare. Riconosco i miei limiti, ma sono felice lo stesso. Vorrei versare una lacrima per memorizzare questo momento. Ma dagli occhi non scende nulla. Credo di averle sudate tutte. Allora guardo le mie mani e so che non lo dimenticherò. Come dice Cecilia Seppia, quando non ricorderemo più a parole, o con gli occhi, lo faremo con le mani. Che in fondo sono l’unica cosa che valga la pena stringere. Intorno a un remo.

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