Inno ai canottieri amatoriali

Ho udito millanta storie di cavalieri delle acque erranti, di imprese azzurre e di italiche vittorie. Ma di eroici canottieri, oggi, non abbiam più notizia. Proprio per questo, nell’arte del remo c’è bisogno d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto.

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Sono stato anch’io un realista, ma ormai me ne frego e l’apparenza delle cose non m’inganna. Preferisco le sorprese di quest’anima tiranna, che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti, ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti. Prima d’oggi mi annoiavo da morire, ma ora sono un canottiere che non teme di soffrire.

Inno ai canottieri amatoriali

Guccini mi perdonerà, ma i versi storpiati della sua canzone sono l’incipit perfetto per raccontare di chi, come me, cercando la propria identità nell’arte del remo si è smarrito nella pazzia. Alcuni ci definiscono amatori, altri hobbisti, in realtà siamo moderni Don Chisciotte, uomini e donne incapaci di scontrarsi con il presente ed eroi condannati a un destino di inesorabile sconfitta. Siamo folli idealisti, con una visione distorta della realtà. Le illusioni di cui ci nutriamo non vanno derise, ma guardate con tenerezza. Oggi vi racconterò la verità. Perché come ha scritto il poeta Theodor Fontane, ci tormenterà meno della nostra immaginazione. Allora sedetevi comodi sui vostri carrelli e ascoltatemi, che un rifiuto non l’accetto.

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Viviamo il canottaggio come una religione. Per lui sacrifichiamo le mani e il nostro tempo libero, rinunciando al sonno del mattino e all’aperitivo della sera. Allenarci è la nostra massima aspirazione di divertimento. I nostri sogni si realizzano se le acque sono piatte e non tira vento. Ci spingiamo oltre i nostri limiti, dimenticando di parlare una lingua comprensibile ai più. Ci sono persone che corrono cinque chilometri alla settimana per tenersi in forma. Cinque chilometri sono il nostro riscaldamento quotidiano. Dopo un allenamento, in molti non vedono l’ora di farsi la doccia. Noi temiamo il momento in cui lo shampoo entrerà in contatto con le nostre mani piagate.

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C’è chi si vanta di aver superato la propria soglia del dolore. Noi sappiamo che ne esiste più di una. La maggior parte delle persone ama il proprio sport. Noi remiamo. Siamo così innamorati della disciplina che pratichiamo, che ci risulta difficile pensare ad altro. Siamo canottieri. Siamo una razza umana diversa. E allora l’omaggio di Don Chisciotte nella versione teatrale scritta da Corrado D’Elia è per noi, che di questo sport siamo considerati (in)degni e maltrattati rappresentanti.

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«A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento. Ai pazzi per amore, ai visionari, a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno. Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti. Agli uomini di cuore, a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro. A tutti quelli che ancora si commuovono. Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.  A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato. Ai poeti del quotidiano. Ai “vincibili” dunque, e anche agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo. Agli eroi dimenticati e ai vagabondi. A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali, ancora si sente invincibile. A chi non ha paura di dire quello che pensa. A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà. A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione. A tutti i cavalieri erranti. In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene… a tutti i teatranti».

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