Marco Di Costanzo: sogno Rio 2016 e son desto

Grazie al suo prezioso contributo sul quarto carrello, il quattro senza dell’Italia è tornato sul tetto del mondo dopo vent’anni. Adesso, le aspettative nei confronti di Marco Di Costanzo e dei suoi tre compagni di barca Giuseppe Vicino, Matteo Lodo e Matteo Castaldo sono sempre più alte.

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Foto di Giacomo Broglio (c)

Una pressione insostenibile per la maggior parte delle persone, ma non per chi, come lui, ha le spalle larghe. Non solo fisicamente. Tra passato e presente, l’atleta delle Fiamme Oro racconta anche cosa spera per il suo prossimo futuro: la sua prima Olimpiade, Rio de Janeiro, un sogno che si avvera.

Rio 2016: sogno le Olimpiadi e son desto

Come ti sei avvicinato al canottaggio?

«La “colpa” è di mio fratello Fabio. Ha iniziato a remare prima di me e proprio guardando le sue prime gare mi sono appassionato al punto che anch’io ho cominciato ad allenarmi. Era il 2002. Visto che avevo solo dieci anni non potevo gareggiare, quindi il mio primo anno di canottaggio fu l’insieme di tanti allenamenti».

Ricordi la tua prima gara?

«Certo. Feci la prima gara da Allievo A nel mitico 7,20. Ricordo che mi tremavano le gambe alla partenza, peggio di quando venivo interrogato in italiano! Però, subito dopo il via, sono partito a razzo, vincendo la gara con molto distacco».

Cosa ti ha spinto a continuare a remare?

«La costituzione di un bel gruppo di amici, che remavano insieme a me, ha sicuramente contribuito a farmi apprezzare ogni singolo allenamento. Ricordo che giocavamo a calcetto dopo gli allenamenti, per strada contro altri nostri coetanei e spesso vincevamo. Poi, la continua voglia di migliorare e restare in questo meraviglioso mondo mi spinge a continuare a remare».

Gli atleti della nazionale durante un allenamento al remoergometro
Gli atleti della nazionale durante un allenamento al remoergometro

Qual è il ricordo peggiore da quando remi?

«Nel 2011, la finale del Mondiale Under 23 ad Amsterdam. Per 0,19 decimi perdemmo la medaglia d’oro: fu veramente un peccato!»

Quando ti sei reso conto che potevi dire la tua nel canottaggio?

«Il risultato va costruito col tempo. Personalmente, ho sempre creduto in me stesso e nella possibilità di costruire qualcosa di importante. Bisogna porsi un obiettivo e non perderlo mai di vista».

Qual è allora il tuo obiettivo?

«Nella mia carriera non avrei mai creduto di vincere un Mondiale in una barca così prestigiosa come il 4 senza. Esserci riuscito è il coronamento di un sogno».

Foto di Mimmo Perna
Foto di Mimmo Perna

Singapore, 2010, Giochi olimpici giovanili. Cosa ti viene subito in mente di quei giorni?

«Fu un’esperienza unica: le gare non andarono benissimo col mio compagno di barca Bernardo Nanni (Canottieri Firenze, ndr). Quell’anno vincemmo insieme tutte le gare a livello nazionale in 2- e al mondiale junior conquistammo la medaglia di bronzo. In Asia ci trovammo spiazzati, perché non ci saremmo mai aspettati di gareggiare ancora insieme. Però, fu qualcosa di fantastico conoscere e parlare con coetanei di tutto il mondo e di tutti gli sport».

Quante volte a settimana ti alleni?

«Facciamo 13 allenamenti a settimana. Spesso sono in raduno a Sabaudia o a Piediluco. Quando sono nella mia Napoli, mi alleno con il mio compagno di barca Matteo Castaldo e gli altri ragazzi al Circolo Savoia, dove siamo seguiti dall’allenatore della nazionale Andrea Coppola».

Il 2015 è stato un anno ricco di soddisfazioni per te, col titolo mondiale vinto ad Aiguebelette in Francia. Raccontaci la preparazione alla gara, quei 2000 metri e le tue sensazioni dopo.

«Da maggio abbiamo messo su questo 4-: Giuseppe Vicino, Matteo Lodo, Matteo Castaldo ed io. Alle due Coppe del Mondo che abbiamo fatto, a Varese e Lucerna, siamo arrivati sempre secondi. Al Mondiale francese siamo arrivati con la consapevolezza di poter fare qualcosa di buono, anche se la concorrenza era numerosa e agguerrita. Sin dalle batterie, la barca andava benissimo. Funzionava tutto e siamo arrivati in finale sempre con il miglior tempo. Questo non è un dato fondamentale in uno sport come il canottaggio, ma ci ha dato fiducia. Alla partenza, l’adrenalina si poteva toccare. Dovevamo fare solo la nostra gara, quello per cui ci eravamo preparati duramente. La gara fu bellissima: ci siamo trovati appaiati con l’Australia agli ultimi 500 metri. Lì siamo ripartiti come se non ci fosse un domani e li abbiamo staccati di due secondi, che per una finale mondiale in una barca olimpica non è cosa da tutti».

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Tra poco ci saranno le Olimpiadi di Rio: cosa ti aspetti?

«Adesso il cerchio si stringe, bisogna fare sul serio e dedicarsi solo al canottaggio. Sarà la mia prima Olimpiade, a 24 anni, e l’emozione sarà tanta, ma andiamo in Brasile con un obiettivo importante e chiaro: fare il meglio possibile e dare il massimo«.

Chi consideri come tuo maestro?

«Ho avuto tanti allenatori e ho cercato di imparare qualcosa da ognuno di loro: il primo fu Cristiano Clarizia alla Canottieri Napoli. Poi passai al Posillipo, dove mi allenarono Mimmo Perna e Lello Polzella. Ancora oggi mi sento con tutti loro. Oggi, ho la fortuna di appartenere alle Fiamme Oro ed essere guidato da Valter Molea».

Già, Valter Molea, che era nell’ultimo 4- che vinse il Mondiale nel 1995 a Tampere, in Finlandia. La tua vittoria, in Francia, ha rappresentato l’ideale chiusura del cerchio tra il maestro e l’allievo, che ha riportato l’oro a casa dopo venti anni esatti. E poi la posizione in barca, la pedana numero 4, era la stessa. Come ti senti pensando a questo?

«Durante gli allenamenti chiedo sempre il parere di Valter, voglio avere qualche suo consiglio su come poter migliorare. Prima della gara, anche lui si ricordò che occupavo la posizione che venti anni prima era sua e alla fine, all’arrivo sul pontile, fu la prima persona che mi corse incontro con le braccia aperte, come per riaccogliere un figlio. Fu un momento ricco di emozioni e molto significativo».

Il 4 senza campione del mondo. Da sinistra: Marco Di Costanzo, Matteo Castaldo, Matteo Lodo e Giuseppe Vicino
Il 4 senza campione del mondo. Da sinistra: Marco Di Costanzo, Matteo Castaldo, Matteo Lodo e Giuseppe Vicino

Cosa hai imparato dal canottaggio?

«Il canottaggio mi ha fatto diventare la persona che sono oggi. Merito anche dei miei genitori, che mi hanno permesso di praticarlo, insegnandomi i giusti valori della vita. Grazie al canottaggio ho conosciuto persone fantastiche, ho fatto moltissime esperienze. La più importante è aver girato il mondo, facendo quello che mi rende felice: remare».

La parte più dura di questo sport è il remergometro: come vivi la relazione con questo mezzo infernale?

«E’ dura e si soffre sempre, ma è il mezzo ideale per allenarsi e arrivare al massimo della forma».

Domanda cattiva: un pregio e un difetto dei tuoi tre compagni di barca al Mondiale francese.

«Preferirei dire solo i pregi, ma visto mi costringete dirò anche i difetti. Vicino è un grande maestro di orchestra nel darci il ritmo, ma non lava i panni se vinciamo e quindi per la gara dopo puzzano; Lodo è un vero talento, ma quando accusa la stanchezza diventa più piccolo di me, pur essendo due metri; Castaldo è un ragazzo molto determinato, è il cervello della barca, ma ogni tanto perde aria dalle retrovie e per me che sono dietro di lui, se il vento è contrario, è un guaio!».

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