Ho sempre pensato che il canottaggio fosse una fonte di disperazione, più che d’ispirazione. Sbagliavo. Perché sul carrello della mia barca non ci sono solo i miei sogni, ma anche la mia illuminazione.
Per fortuna, nell’arte del remo non ci sono errori, ma solo lezioni. Così, ho imparato che l’ispirazione non da preavvisi, né quando arriva né quando se ne va, e che non si smette mai di essere un canottiere. Nemmeno lontano dall’acqua.
I giorni dell’abbandono
Eppure, ho perso le parole. Francis Bacon diceva che il processo creativo è un cocktail di istinto, abilità, cultura e inventiva febbrile. Non è come una droga. E’ quel particolare stato in cui tutto accade velocemente, un miscuglio di coscienza e incoscienza, paura e piacere. E’ un po’ come amare. Interrompere un’emozione non è una cosa saggia. E in questo momento sono un canottiere interrotto.
Nella mia esperienza non mi sono limitato a praticare il canottaggio. Ho voluto capirlo. E per farlo sono andato alla ricerca della sua anima. Scriverne è stato faticoso, perché per raccontarla non ho potuto aspettare il momento perfetto. Ho dovuto prendere ogni istante e renderlo tale. Sono stato vicino a essere un genio del canottaggio, figura mitologica che per l’un per cento è ispirazione e il restante novantanove è sudore. Mi è mancato solo il sudore.
E ogni volta che mi allontano da questo sport, volontariamente o meno, perdo anche l’ispirazione. Eh già, come tanti altri canottieri non è la prima volta che ho dovuto dire addio al canottaggio. Perché nell’arte del remo i giorni dell’abbandono sono molti più di uno. D’altronde, parafrasando le parole del Conte Nudo, l’errore è quando sbagli una volta. Due volte è stupidità, oppure amore.