Qualcuno ha detto che il canottaggio non è una disciplina invisibile. Lascia un’impronta su tutti. Personalmente ti stai ancora domandando dove siano i tuoi segni. Perché dopo mesi di sangue, sudore e lacrime, hai ancora i quadricipiti di Benedetta Parodi.
Continui a guardare, ma oltre alle piaghe sulle mani non vedi nulla. Poi, ti si avvicina uno come Mario Palmisano. Lo guardi. Capisci che il canottaggio non c’entra e comprendi una cosa che Charles Darwin ha taciuto a tutti: Madre Natura è una puttana. E non ci puoi fare niente.
Che puttana, Madre Natura!
Si siede accanto a te. In fronte ha scritto “nun teng voglia e’ fa’ nu’ cazz”. S’intallea, come si dice a Napoli, ovvero si prende il tempo necessario che gli serve. Poi parte. Nonostante sia più il canottaggio che guarda in Tv di quello che pratica, e che il suo programma di allenamento preveda due giorni di lavoro e cinque di recupero, il remoergometro non lo usa. Lo impenna.
Allora decidi di fermarti. Abbandoni il manubrio al suo destino. Liberi i piedi dalle fascette. Pieghi la schiena, allarghi le gambe e punti i gomiti sulle ginocchia. Adagi il viso nelle tue mani a coppa e ti metti a guardare quello spettacolo in movimento, lasciando che il suo ventolone ti scompigli i capelli. Osservi e comprendi che è solo il corpo a invecchiare. Non la classe. Eccolo il talento, quello che può sempre battere un atleta più allenato, ma che sfortunatamente ne è privo.
Vedi la pulizia dei movimenti, anche quando la stanchezza inizia a farsi sentire. Quello che per te sono pensieri cupi e violenti, per lui sono sonetti e poesie d’amore. Alla fine, mi sorride e tenta di convincermi che chiunque possa fare la stessa cosa. Persino io. Bugiardo. E te lo dico io, che non ho mai smesso di credere alle favole. Piuttosto, insegnamelo tu come si fa, a fissare dei limiti e a spostarli sempre più in là. Ogni giorno. Un colpo di remi alla volta.