Canottaggio: gli anni dei ricordi

Non è durante un’Olimpiade che vengono raccontate le storie più belle sul canottaggio. Perché questo sport è come un iceberg: la parte più grande si trova sott’acqua. Il filosofo libanese Khalil Gibran ha scritto che “le tartarughe potrebbero raccontare delle strade, più di quanto non potrebbero le lepri”. 

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Ecco perché ho sempre preferito andare alla scoperta di chi “rema nell’ombra”. Uno di questi è Vito D’Agostino, canottiere “diversamente giovane” e ricco di passione come la sua terra: la Puglia. E’ lui l’anima del Cus Bari Vintage, un gruppo di appassionati che su Facebook condivide aneddoti, foto e ricordi sulla società di canottaggio cui appartiene, dagli albori a oggi.

Gli anni dei ricordi

Persone così mi piacciono perché, pur rimanendo discrete, non nascondono il proprio vissuto. Un giorno, sulla bacheca del gruppo ho letto questo messaggio: “L’era del canottaggio di Vito D’Agostino è morta. Il mondo è cambiato e ricordare lo fanno solo i vecchi nelle case per anziani”. Una fortunata coincidenza. Da tempo, infatti, volevo scrivere qualcosa sull’importanza dei ricordi. Insomma, aspettavo un motivo e invece è arrivata l’orchestra.

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Malgrado le apparenze, il canottaggio è una disciplina estremamente complessa. In tutti i sensi. Non è solo l’andare dal punto A al punto B il più velocemente possibile. L’essere duro è ciò che lo rende grande. Qui l’epica si può trovare solo col lanternino e nella maggior parte dei casi si raccoglie molto meno di quanto si è seminato. Ecco perché in questo sport non si ricordano i giorni, ma gli istanti.

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Io sono tornato a praticarlo alla soglia dei quarant’anni, nella cosiddetta “età del mezzo”, quella in cui si è incerti se sentirsi ancora giovani, nonostante la carta d’identità, o irrimediabilmente vecchi. Nonostante la carta d’identità. E chi risale sul carrello di una barca alla mia età non lo fa per vincere, ma per avere qualcosa da ricordare. Perché noi siamo la nostra memoria. Ed è proprio la mancanza di memoria che rischia di rendere poverissime, aride, vuote e senza radici le giovani generazioni.

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Non hanno avuto il privilegio di vedere in azione i grandi interpreti di questo sport. Non hanno potuto rubare con gli occhi qualche briciola della loro immensa esperienza. Si tratta di maestri, di giganti del mondo del remo di cui bisogna assolutamente conservare la memoria. Il futuro è la direzione cui tendere, mai voltare la testa indietro. Ma i nostri piedi devono essere saldi a terra e affondare le proprie radici nel passato. Ed è proprio da lì, dove un canottiere punta il suo sguardo, che traiamo la forza necessaria per andare avanti, per progettare il futuro e magari, un giorno, avere il privilegio di diventare il ricordo di qualcun altro.

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