Era nel frigo ovvero quando il canottaggio fallisce inizia la pasticceria

Si definisce Comfort Zone l’insieme delle cose che riusciamo a fare senza sentirci a disagio. Il canottaggio è la cosa che inizia alla sua fine. Perché questo sport è costoso. Interferisce con il sonno. Distrugge il tuo corpo. E se sei così fortunato da riuscire a toccarne l’anima, ti trascina lontano dal mondo reale.

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Io ho scelto il canottaggio perché ho fatto di testa mia. Ma per quelli come me, sempre sulle nuvole, farlo è decisamente più complesso rispetto a chi, invece, non si incanta mai a guardare il cielo. Perché come tutti gli sport “pratici”, anche l’arte del remo basa la sua esistenza su un principio fondamentale: il senso della realtà.

Era nel frigo…

E’ inevitabile, quindi, che ogni tanto Mario Palmisano sia costretto darmi uno strattone per tirarmi giù. Perché fare canottaggio è un’esperienza molto concreta. E’ come innamorarsi. Prima di potersi lanciare nel “deliziosamente vago”, serve metodo e coraggio. E se l’organizzazione non è mai stata il mio forte, in quanto ad audacia credevo di non avere problemi. Almeno fino al giorno in cui, dopo un’uscita in barca insieme, mi ha fatto capire che non è così. «Guarda che andare ogni anno al SilverSkiff senza allenarti non è coraggio. Sei solo un pazzo con lo spirito del kamikaze. Ma non pensare alle conseguenze è da incoscienti. Così ti fai solo del male e peggio ancora prendi in giro te stesso».

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Ed è in momenti come questo, quando il tuo mentore ti mette davanti a uno specchio, che rimpiangi di essere più bravo a trattenere la pancia delle lacrime. Ma non è colpa mia se l’incoscienza assomiglia pericolosamente alla felicità. Purtroppo ho un cuore che non riesce a stare al suo posto e guardare soltanto. In fondo, nel canottaggio sono andato avanti come ho potuto. Troppi sogni e pochi cassetti. Tanti voli pindarici, altrettante cadute. Un po’ di rabbia. Molte attese deluse.

canottaggio

Il problema è che nella mia mente c’è sempre stato il concetto di grande salto: bruciare le tappe e passare dal grado zero all’Olimpo del remo in poco tempo. Come? Grazie a una botta di fortuna, un’intuizione improvvisa, un colpo di genio. E in questi anni di idee ne ho avute molte. Purtroppo, in questo sport ci sono percorsi che una persona non conosce. Ti lasciano ammirare i risultati, ma non ti raccontano i sacrifici superati da chi ha raggiunto l’obiettivo. Qualunque esso sia. La base è fatta di piccoli passi, perché il cammino di un canottiere è simile al lavoro di un maratoneta, non a quello di un centometrista. Comunque, nonostante i miei risultati restino imbarazzanti, un po’ di strada l’ho comunque fatta.

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E mentre Milano pian piano si spegne, noi restiamo in silenzio a guardare le ultime barche che ci sfilano davanti. «A cosa stai pensando?», mi chiede. (Ai canottieri coraggiosi, con le mani che tremano. A quelli che vivono tra le nuvole e riconoscono il vento. A chi rema fuori tempo. A quelli che non stanno nel mezzo. A quelli che se ne fottono e continuano a remare, anche con le dita piene di tagli e le mani che sanguinano. A quelli con le vene che pulsano e gli occhi che brillano). «A niente, solo alla Sacher che c’è al bar in Canottieri». D’altronde, anche nel canottaggio, come nella vita, quello che cerchi è dentro di te. Altrimenti è nel frigo.

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