Elogio della follia ovvero: vado alla “D’Inverno sul Po”

Sono un recidivo. Dopo aver partecipato alla scorsa edizione in quadruplo senza aver lasciato alcuna apprezzabile traccia della mia presenza, sono tornato sulle rive del grande Fiume per affrontare i 5.000 metri in due di coppia insieme ad un altro folle, Matteo, più giovane di me di 17 anni.

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Fuori dall’otto master per giusti motivi di turn-over, coach Raffaele, che potrebbe essere mio figlio, avrà visto una vena malinconica nei miei occhi e in un momento di debolezza mi ha offerto la possibilità di gareggiare in doppio con Matteo.

Vado alla D’Inverno sul Po

Ne ho parlato al diretto interessato “attenzionandolo” sul mio peso considerevole, ma senza riuscire a dissuaderlo: dopo un nano-secondo ha detto si. In questi giorni ci siamo allenati bene, tuttavia mi sono chiesto più volte chi cavolo me l’abbia fatto fare: il due di coppia non è la mia barca preferita e quando con un altro folle, Maurizio, partecipai in doppio ai Campionati Italiani di Ravenna, allorché tagliammo il traguardo gli equipaggi classificati ai primi tre posti non solo avevano ricevuto le medaglie, ma erano già sotto la doccia.

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Tuttavia la faccia tosta non mi manca e ci riprovo: dato il dislivello d’età Matteo e io gareggeremo tra i Master D, dove ovviamente con i miei 63 anni sarò il meno giovane. Ci impegneremo al massimo cercando di remare più che dignitosamente, ma nel canottaggio non basta: sopporteremo i sorpassi facendo finta di non demoralizzarci, staremo attenti a non beccare i piloni dei ponti e alla fine ci classificheremo tra i primi dieci in una regata alla quale parteciperanno nove equipaggi. La D’Inverno sul Po, che per certi versi rappresenta un esame di riparazione per chi non se la sente di partecipare, da solo e su percorso doppio, alla SilverSkiff, mantiene intatto il fascino ed prestigio della più famosa regata in singolo.

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Per un canottiere è importante essere presente sul palcoscenico di Torino, così come per un cantante è importante partecipare al Festival di Sanremo e non è un caso che le date coincidano. Il grande Fiume scorre placido, con austera dignità Sabauda sotto i ponti di mattoni e di marmo, l’atmosfera è da grande capitale mitteleuropea, i circoli remieri torinesi sono antichi eppure pullulano di vita, le barche sono tantissime e a bordo si intravedono spesso giovanotte e giovanotti ultra-settantenni mescolati ad atleti di gran lunga meno stagionati.

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Il freddo ed il clima un po’ brumoso di febbraio accrescono il fascino dell’evento: ci si sente al centro del noto triangolo magico disegnato tra Lione, Praga e Torino. Fascino che ha finito per ammaliare anche un vecchio borbonico come me, svezzato in jole, rigorosamente di punta in riva al Molosiglio, nell’acqua salata del golfo in cui si specchia Partenope, che per una volta non penserà né a Mertens né ad Higuain, ma unicamente a mettercela tutta, insieme a Matteo, a bordo di un double scull color fragola.

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