I racconti del pulmino – Mistero Puffo

Il pulmino. Uno spazio confinato e limitato. Incontro di corpi e di anime che produce un’atmosfera molto particolare, capace di pervadere i sensi. L’olfatto, più di tutti. Sottrarsi da questo incanto è difficile per il giovane canottiere che attende con trepidazione il viaggio in pulmino. La strada da percorrere è segnata dal ritmo delle dita che oggi si muovono su accattivanti display, ieri sulle corde della chitarra mentre il gruppo celebrava “le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi”. C’è anche l’occasione di condividere del tempo con lui, l’uomo alla guida; colui al quale la società sportiva affida il carico di uomini, barche e speranze, per condurlo sui campi di regata.

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Nel mio Centro, come credo in tantissime altre società, questa figura coincide da sempre con l’allenatore. Poche le risorse a disposizione, troppa la passione e l’abnegazione di questi uomini per il nostro sport. E allora, il viaggio in pulmino si può trasformare in magia. Fatti, misfatti, retroscena di gare sono rivissuti nel racconto dell’allenatore. Mai noioso, anche per chi l’ha già sentito altre volte, perché chi parla, parla con il cuore. Chi ascolta, pure. Autostrada A14, destinazione lago di Varese. Bepi Altamura è al posto di guida. All’imbrunire, i giovani protendono le braccia sulla spalliera del sedile anteriore, per raccogliersi intorno a lui. A tratti, i fari delle auto illuminano i volti, come fossero scoppiettii improvvisi del focolare. Sono pronti all’ascolto. Bepi schiarisce la voce e, all’altezza del casello Pescara Nord, parte il suo racconto.

I racconti del pulmino

«Dal 1972, il lago di Léman, noto anche come lago di Ginevra, ospita la più lunga competizione al mondo di canottaggio senza scalo, in bacino chiuso. Centosessanta chilometri. Per motivi di sicurezza è riservata al massimo a 25 imbarcazioni di diverso tipo. Si tratta di remare anche fino a 20 ore e di ripetere il gesto di voga per almeno ventimila volte! E’ una contesa fra mente e corpo che si vince col cuore. Nell’agosto del 1982 incominciai la preparazione specifica dell’equipaggio prescelto per l’impresa, prevista per il 2-3 ottobre. Si trattava del quattro jole senior, con 5 vogatori che già in passato avevo sperimentato in gare sulla media distanza. Discussi con loro di queste esperienze, dei momenti di difficoltà che avremmo incontrato, delle crisi da affrontare, gestire e superare. Per la prima volta, avrebbero trascorso una notte in barca, con l’incognita delle condizioni atmosferiche, molto variabili in quella zona. E a buona ragione! Pensate che in due edizioni precedenti, nel 1977 e nel 1979, nessun equipaggio giunse all’arrivo e nel 1976 nessuno mai partì, sempre a causa della furia del lago. Mi sorprese la reazione a questa notizia. Vollero portarsi a bordo quattro borsoni ripieni di 36 bottiglie di acqua minerale da un litro e mezzo, 40 tavolette di cioccolato fondente da 250 gr, 6 kg di frutta di stagione. Li lasciai fare.

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In pulmino, arrivammo a Ginevra il 1 ottobre, il giorno precedente la partenza della gara. La temperatura era autunnale. Il cielo, plumbeo. Per fortuna non pioveva. L’organizzazione mise a disposizione, come residence, i bunker del rifugio antiatomico. La prospettiva di finire sotterrati, dopo la gara, non entusiasmava il gruppo. I 25 equipaggi dell’undicesima edizione del “Tour du lac” erano allineati alle ore 14 del 2 ottobre. L’obiettivo comune era quello di ritornare al punto di partenza, dopo aver circumnavigato il lago con l’ausilio di una bussola e di una mappa, senza mai perdere di vista le boe, poche, posizionate lungo il percorso. Il ventiduenne Jimmy, il più grande dell’equipaggio, prese in carico la pistola lanciarazzi, anche questa fornita in dotazione per le segnalazioni di emergenza. “Mi spaventa più dei chilometri da percorrere… e del bunker”, disse. “A voi non servirà!” fu il mio deciso incoraggiamento.

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La partenza del 4 jole, con Massimo a capovoga, fu abbastanza veloce. Durante il percorso, nei cambi, sarebbe stato sostituito solo da Jimmy. Donato era inizialmente al timone. L’idea era quella di riposarsi per un’ora, dopo 4 ore di voga, scambiando il posto da vogatore con quello da timoniere. Una prospettiva allettante per ciascuno di loro. Diventò l’obiettivo più vicino da raggiungere: distraendo la mente dal pensiero ossessivo della lunga distanza, rendeva perseguibile la meta finale. Proprio per questo, avevo formato l’equipaggio con 5 vogatori. Alle 20, dopo sei ore di voga, i ragazzi avevano già le mani doloranti e, in parte, sanguinanti. Il carrello bruciava, la barca pesava maledettamente. Cominciavano a sentire la presenza di due nemici invisibili: la fatica e la noia. La notte incombeva col suo carico di misteri, facendosi inquietante. Tra un colpo e l’altro in acqua, il vento sibilava alle loro spalle, sempre più intenso, rendendo ancora più critica l’azione di avanzamento. Talune volte, i canottieri si concentravano sul conteggio dei colpi in acqua. Probabilmente, questa conta notturna, produsse un effetto soporifero per il Toro. Massimo, sentendo il suo respiro pesante, si voltò e vide il suo cappello di lana calato fin sopra il naso. Il Toro dormiva, eppure seguiva perfettamente il movimento degli altri compagni! E’ proprio vero. La sintonia in barca la devi trovare dentro di te! Nell’animo. Non serve vedere ma sentire!

Il 4 jole che realizzò l'impresa con il carico di cibo e acqua. Da sinistra, Donato D'Abbicco, Franco Piccolo, Antonio Formica detto il Toro, Massimo Biondi, Michele Straziota detto Jimmy
Il 4 jole che realizzò l’impresa con il carico di cibo e acqua. Da sinistra, Donato D’Abbicco, Franco Piccolo, Antonio Formica detto il Toro, Massimo Biondi, Michele Straziota detto Jimmy

Erano passate da poco le 2. Si viaggiava verso l’alba, ancora un cambio al timone. E’ in questa occasione che i vogatori sorseggiano un po’ d’acqua. Alla stanchezza fisica, però, si aggiunse lo stress psicologico: “Ma a chi è venuto in mente di portare tutta quella roba???” chiese il capovoga, piuttosto contrariato. Si cercava disperatamente il colpevole dell’eccesso di bevande e di cibo caricato a bordo. Dopo qualche reciproca accusa e minaccia di ritorsioni a terra, ritornò fortunatamente a farsi sentire l’armonia della barca che scivolava sull’acqua, rompendo il silenzio della notte. Intorno alle 4 era ancora tutto buio. Massimo, che aveva studiato molto bene la mappa, era certo che la prossima boa avrebbe indicato l’inizio della “promenade”, una sorta di lungomare che porta a Ginevra. “Forza! Timoniere, conta gli ultimi 120 colpi!!”. “Si. Si. Dai! Siamo arrivati. Uno, due, tre …”, il Toro era il più deciso, ma si ricredette subito dopo aver pronunciato queste parole. Il galleggiante segnalava l’inizio della promentheux. I chilometri da percorrere erano ancora molti, trenta, forse 40. Più di 3 ore. L’equipaggio era in preda al più totale sconforto. “Ragazzi, noi siamo arrivati! Sono i Puffi che stanno spostando l’arrivo! Si stanno divertendo con noi! Maledetti Puffi!”. Jimmy non scherzava, era crollato psicologicamente. “I puffi?”. Massimo, incredulo, si voltò. Era preoccupato. Gli altri erano stanchi, la loro mente era offuscata, ma sufficientemente lucida da comprendere il paradosso dell’affermazione.

Partenza degli equipaggi sul lago di Ginevra
Partenza degli equipaggi sul lago di Ginevra

“Ci è! Adaver sta disc?” (Cosa? Stai parlando seriamente?) fu il commento provocatorio del Toro. “Si si. Sono loro. Li vedo!” confermò Jimmy, in balia di allucinazioni visive. “Toro! Ma dove hai comprato l’acqua?” sdrammatizzò Donato. Sorrisero tutti tranne Jimmy, che non era in grado di comprendere la battuta. Lo stress intenso e la privazione del sonno, gli stavano giocando un brutto scherzo! “Va bene Jimmy, intanto tu voga!”, disse Massimo, cauto e rassicurante, senza mettere in discussione quella convinzione delirante. Donato, negli ultimi due chilometri, stava per soccombere: “Fermatevi. Vi prego! Non sopporto più il dolore! Si è impossessato di me. Voglio liberarmene” implorava, scoppiando in un pianto isterico. Quando si accorse che Donato aveva smesso di vogare, Massimo, con le scarse energie ancora in corpo, esortò l’equipaggio: “No! Non fermatevi! Non riusciremo più a riprenderci. Dobbiamo continuare. Dobbiamo farcela!”. Era deciso e convincente. Donato, lagnandosi, riprese a remare. Nessuno di loro aveva più energie per pensare e neanche per soffrire. Ma il coraggio di crederci, quello, c’era ancora: andavano su e giù con il carrello per portare sé stessi al di là della paura. “E’ finita!!!” sibilò con un fil di voce, Franco. E sì, nell’equipaggio c’era pure lui. Sapeva della gara di fondo, ma aveva appreso dei 160 km solo a Ginevra, leggendolo dai manifesti.

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Alla partenza della gara, prima di essere colto da mutismo selettivo, aveva affermato: “Perché non me l’avete detto! Credevo fossero solo 100!”. Il 4 jole del CUS Bari, senza mai fermarsi, chiuse la gara dopo 15 ore, 59 minuti e 22 secondi di voga, portando con sé il carico di uomini lacerati nel corpo, rafforzati nell’animo. Giunse in diciassettesima posizione nella classifica generale. Come tipologia di barca di punta, si classificò seconda dietro un equipaggio tedesco che percorse la distanza in un tempo minore di circa 15 minuti. Fu determinante un errore di rotta del CUS, negli ultimi chilometri. Forse uno scherzo dei Puffi. Tutti gli equipaggi, all’arrivo, trovarono il personale dell’organizzazione che aveva il compito di sollevare di peso dalla barca gli atleti “stanchi morti”, coprirli con delle coperte e trasportarli immediatamente sotto terra, per i controlli medici. Subito dopo, l’agognato letto! Il meritato riposo!». Nella penombra, il fascino del racconto colora il volto dei giovani, ammutoliti. Parlano le emozioni che nascono da questi silenzi. Bepi ha deciso di fermarsi al prossimo autogrill, nei pressi dell’uscita Bologna-S. Lazzaro. Apre il finestrino e si accende una sigaretta, per godersi il momento. Anche oggi, ha affidato all’ascolto dei suoi ragazzi un pezzo di storia. Qualcuno ha già chiuso gli occhi. Ha fretta di sognare.

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