Mastichiamo sogni, caghiamo solide realtà ovvero non è tempo per noi (e chi se ne frega)

Non molto tempo fa, mi sono reso conto che nel canottaggio il segreto del successo non è la perfezione, ma l’accettazione. Che non significa rassegnarsi, ma essere sinceri con se stessi, rendendosi conto se nel rapporto con il proprio sport come si è e come si dovrebbe essere non riescono a coincidere.

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Una consapevolezza raggiunta dopo aver letto un illuminante articolo (LINK) scritto dal triathtleta Ivan Risti, canottiere da parte di moglie e cognato (Elena e José Casiraghi), dove si chiarisce che anche avendo tutto il tempo del mondo per allenarsi (che comunque va cercato, trovato, gestito e sfruttato) c’è un limite fisiologico oltre il quale le nostre “dotazioni” fisiche non riescono ad andare.

Non è tempo per noi

Perché l”equazione “più mi alleno, più andrò forte”, ancora molto in voga nel mondo amatoriale, NON FUNZIONA. PER NESSUNO, sottolinea Ivan. “Il tempo di allenamento non è l’unica variabile per una prestazione maggiore, anzi, più la prestazione da costruire è complessa, più le variabili in gioco sono molte e influiscono sulla prestazione anche in maniera significativa. Un atleta di alto livello non è forte solo perché ha tanto tempo per allenarsi, ma ha capacità di recupero ottime, presta attenzione all’alimentazione, ai tempi di recupero e al sonno, fattori necessari per ottenere il miglioramento della propria prestazione. Questi aspetti, oltre al tempo, richiedono anche talento e doti naturali che non si comprano né con soldi né con le ore libere”.

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E devo ammettere che invece di disperarmi, mi sono sentito “sollevato”. Perché la consapevolezza di aver già raggiunto il mio limite non solo mi ha aiutato a cercare le cose che non funzionano in me, ma anche a convivere con quelli che sono i miei difetti e in qualche modo ad accettarli. Il mio errore è stato tentare di adattare la mia vita quotidiana alle esigenze di quella sportiva, quando sarebbe stato meglio per entrambe fare il contrario, per rendere tutto sostenibile e quanto più godibile per poterlo portare avanti nel tempo.  Invece, tutti gli anni trascorsi a dannarmi in barca o sul remoergometro per inseguire un me migliore sono stati molto faticosi e hanno prodotto quasi nulla. A parte numerosi abbandoni, frequenti malumori e un costante mal di schiena.

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Oggi, invece, qualcosa è cambiato. E sono io, che ho deciso di essere come l’acqua che scorre sotto la mia barca e imparare da lei: adattarmi e superare ogni ostacolo, mutando ogni volta la mia forma. L’acqua ci insegna l’accettazione, la pazienza ed è costante. E la costanza è la migliore qualità che un atleta possa avere. Anche quando si tratta di scendere inevitabilmente a patti con la propria vita. E, parafrasando Enrica Tesio, scendere a patti è faticoso ma necessario, sempre e solo se si scende per poi salire un gradino più in alto verso la nostra idea di felicità. E chissà se, con questa nuova serenità, gareggiare diventerà paradossalmente più rilassante e divertente. E quando ci si diverte, possono succedere cose inaspettate.

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