Credersi superiori agli altri è il peggior difetto che un canottiere possa avere, ma voi mezze seghe che cazzo ne capite

Ho iniziato a scrivere di canottaggio per necessità. E l’ho fatto armato soltanto di un foglio e una penna. Perché sulla carta, oltre alle parole, resta anche il sentimento di chi le ha scritte.

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La scrittura mi ha permesso di entrare in un mondo che volevo conoscere. Aiutandomi ad accettare il mio canottaggio anche nelle sue parti meno riuscite. Tuttavia le parole, proprio come una barca, mi hanno portato lontanissimo, molto più in alto rispetto a dove i miei meriti sportivi mi avrebbero mai fatto arrivare.

Credersi superiori agli altri…

E per la prima volta nella mia vita mi sono sentito potente. Così ho creduto di essere il depositario di una verità assoluta sull’arte del remo, che in qualche modo mi rendeva migliore e più meritevole degli altri. Maledetto orgoglio. Armatura delle nostre debolezze, ci illude di essere forti. Di avere sempre ragione. E intanto ci fa allontanare dalle persone e dalle cose che amiamo.

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Ho smesso di remare per orgoglio. Perché non ho saputo rispettare la libertà del mio allenatore di prendere una decisione per me ingiusta. Di rinunciare alla pretesa (arrogante) che mi dovesse ciò che credevo di meritare. Senza recriminazioni. E così me ne sono andato, sbattendo la porta e lasciando che fosse il silenzio a spiegare le mie ragioni.

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Una volta ho letto che quello che non riesci a dire per orgoglio, un giorno ti verrà a cercare. E credo mi abbia trovato. Perché da un po’ di tempo a questa parte c’è un dolore che mi tormenta. Ed è una fitta di nostalgia. Arriva puntuale ogni volta che passo davanti a quella che un tempo è stata la mia casa remiera, la Canottieri San Cristoforo. Perché ogni tanto mi manca. Mi manca la parte di me che inevitabilmente è rimasta lì.

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D’altronde, noi canottieri siamo nati per soffrire. E ci riusciamo benissimo. E il mio modo di affrontare il dolore è sempre lo stesso: lo accetto e aspetto che passi. Ma stavolta è diverso, perché la tristezza non scompare solo perché la ignori. Solo adesso mi rendo conto di quanto l’orgoglio mi abbia bloccato in questi ultimi anni. Rivedo il film del mio canottaggio. E naturalmente è un film dell’errore.

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Purtroppo, io e il mio allenatore non possiamo più riprendere da dove ci eravamo interrotti. Nessuno dei due si trova più dove eravamo rimasti. Pazienza, saremo per un’altra volta. Allora diamoci un po’ di spazio, un tempo indefinito e la mano. Io non posso rimproverargli quello che non abbiamo fatto o avremmo potuto essere. Lui sì, ma non lo fa.

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“Peppe gli errori li fa chi vive. Chi segue le emozioni. Chi non commette sbagli, sta facendo un grosso errore. Perché sann’ fà, sann’ dì strunzat. E’ così che si cresce”. Questa la sua ultima lezione. Che non va sprecata. Allora quando riuscirò a mettere da parte l’orgoglio, potrò tornare nella mia Canottieri. Perché quando si chiude una porta, si può sempre riaprire. Perché di solito è così che funzionano le porte.

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Un commento

  1. Bhe’ – vero.
    Remavo a 15 – 17 anni per una gloriosa Società, ma ero un po’ una mezza pippa, l’orgoglio mi precludeva il miglioramento e infatti c’è stata una specie di separazione consensuale, più giocata sul silenzio che sulle parole.
    Poi dopo 40 anni il caso – o il Destino? – mi riporta a quel pontile, ancora mezzo mal messo anche se in un altra maniera. Ancora il Caso mi ha fatto cercare con lo sguardo chi era tra tanta gente un interlocutore autorizzato, ed ha lasciato lo trovassi.
    Ora, dopo qualche uscita estiva l’anno scorso, appartengo ai criceti la cui ruota si chiama Concept2, spero che arrivi il caldo non per rinfrescarmi al mare ma per sudare al lago.
    Rimangono, gli spogliatoi della Sebino, uno dei pochi luoghi dove sono stato veramente felice.

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