Mi disse: “scegli, me o il canottaggio”. Chissà dov’è…

Ogni canottiere, anche se difficilmente lo ammetterà, in amore è per sua natura egoista. Pensa prima alla sua felicità, ma soltanto perché se non è felice lui, non è in grado di rendere felici gli altri.

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D’altronde, noi andiamo dove ci porta la barca, non dove ci porta il cuore. E non dobbiamo dimenticare che per quanto grande e generoso possa essere, quello cardiaco resta sempre un muscolo che il canottaggio rende ancora più involontario.

“Scegli: me o il canottaggio”

Quando si tratta di “rapporti umani”, invece, l’alfiere del remo si affida alla volontà. Che è decisamente più sicura del cuore, soprattutto se si tratta di portare avanti un ménage à trois. Perché ogni canottiere vive contemporaneamente due storie d’amore: una con il/la compagno/a con cui ha scelto di condividere il proprio cammino di vita; l’altra, nella maggior parte dei casi arrivata anni dopo la prima, con la sua barca e relativo equipaggio. In entrambi i casi si tratta di “relazioni pericolose” che, pur conoscendo l’una l’esistenza dell’altra, a malapena si tollerano.

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Ecco perché per un canottiere l’equilibrio è molto più di un’abilità: è un lavoroCosì, pur di salvaguardare le sue pratiche d’acqua e non venir meno ai suoi “doveri domestici”, l’alfiere del remo giunge a un’unica soluzione: essere tutto. Moglie/marito, madre/padre, tuttofare, amante, amica/o e canottiere. Questo, naturalmente, nelle poche ore in cui non deve lavorare.

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Tuttavia, dentro ogni canottiere master alberga un bimbo che a scuola, quando si facevano le squadre, veniva scelto sempre per ultimo e adesso pretende il suo riscatto. E nel tentativo di coccolare il suo ego, soprattutto nei weekend, quel bambino spesso prende il sopravvento sull’adulto nel quale è intrappolato. E così genera un “mostro” con un remo al posto del cuore, che “indossa” il canottaggio come una seconda pelle e al quale risulta impossibile pensare ad altro anche quando è lontano dall’acqua. E questo “rigurgito” di adolescenza, che travolge chi continua (o inizia) a remare dopo i 40 anni, viene recepito in maniera ostile dal partner di un canottiere.

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Così, se all’inizio questo sport poteva essere tollerato, dopo anni di forzata convivenza il canottaggio si trasforma in un male da curare a tutti i costi a colpi di litigi, musi lunghi e silenzi, volti a stimolare il nostro “senso di colpa”. E se non fosse abbastanza, si ricorre all’arma finale. Lo scellerato ultimatum: “Scegli, me o il canottaggio?”. Ma l’unico risultato è che iniziamo a vedere nella persona che abbiamo accanto solo un ostacolo. Un impedimento alla realizzazione dei nostri desideri. Della nostra felicità.

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John Lennon diceva che l’amore è la risposta a tutto. Ma in casi come questo, è la risposta a una domanda terribilmente sbagliata. Perché è la passione a guidarci e chiederci di appendere i remi al chiodo sarebbe come obbligarci a smettere di amare. Impossibile. Alla fine, praticare questo sport mi ha insegnato tante cose che spesso hanno poco a che vedere con il canottaggio vero e proprio, ma che hanno molto a che vedere con l’esistenza umana. Però, mi ha anche insegnato qualcosa che ha a che fare con tutte e due: in barca, come nella vita, è fondamentale circondarsi di persone che non scassano la minchia.

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