Pronti, sofferenza… via!

Quando leggo frasi del tipo “se dai un cuore alle tue gambe, loro ti porteranno anche dove la mente non vuole andare. Oltre i limiti”, penso che l’autore di questo pensiero dovrebbe prima provare il canottaggio. Poi ne riparliamo.

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Perché il cuore da solo non è sufficiente. Non bastano nemmeno due polmoni capaci, un fegato resistente e un fisico bestiale. Questo sport è come quelle persone a cui dai un dito. Loro si prendono entrambe le braccia. E poi tutto il resto.

Pronti, sofferenza… via!

E’ difficile farsi capire da chi non si è mai seduto sul carrello di una barca. Perché il canottaggio è una lingua, ma è raro trovare chi la parla. L’arte del remo svolge una funzione darwiniana: mette alla prova la nostra resilienza. Ovvero la capacità di far fronte a eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la vita dinanzi alle difficoltà. Insomma, testa il nostro spirito di adattamento: ti distingui oppure ti estingui.

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Naturalmente, io sono a rischio. Purtroppo non ho più il fisico. Ma nonostante tutto, adesso sono qui, davanti a un remoergometro. Eccola la differenza tra un canottiere e uno che rema. Il primo è in grado di rinascere, tutte le volte che serve. E oggi sento di poter resistere a qualunque cosa. Ai miei problemi, alla fatica, al dolore fisico e persino al buon senso. Si può essere un eroe anche in un lunedì qualunque.

Remoergometro-(2)

Ci si allena non solo per essere il più veloce, il più resistente, il più forte. Ma anche per ritrovare il proprio equilibrio attraverso la disciplina del canottaggio. Sul carrello di una barca cerchiamo quello che vogliamo diventare. Ancora una volta. Basta liste di buoni propositi. Ho smesso di sperare in un anno migliore. Voglio diventarlo io, migliore. Luca Ghezzi sarà contento di sentirlo. Rispetto a quando ci siamo conosciuti, non sento più il bisogno di partecipare alle Olimpiadi. Evidentemente gli psicofarmaci funzionano.

Rowing-gara

Non giudicatemi male. Dopotutto, per essere competitivo, un canottiere deve peccare di presunzione. Almeno un po’. Se ci fosse Mario Palmisano adesso direbbe: «Oi Pè, va bbuono tutt sti chiacchiere, però mo è arrivat o’mument e’faticà! Jamm bell ja!». Mi siedo e prendo posizione. Vedo la mia immagine riflessa sulle vetrate. Mi guarda negli occhi come a dire “Tranquillo, andrà tutto bene”. Se lo dice lei. Allora pronti, sofferenza… via! Ah, dimenticavo: se dovessi morire, seppellitemi in una cassa. Di birra.

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