Il Canottiere Oscuro ovvero volevo essere Romano Bat-tisti
Campioni si nasce o si diventa? E’ una domanda difficile, soprattutto nel canottaggio, dove prima lo si nasce e poi lo si diventa. Forse. Ma bisogna volerlo. Con tutte le proprie forze. E avere l’audacia di inseguire i propri sogni. Anche se i sacrifici fanno paura. Perché questo è uno sport per supereroi. Ma quelli veri, il cui unico superpotere è la fiamma che ne alimenta la visione.
E la luce è essenziale per compiere imprese straordinarie, perché nel nostro mondo l’epica la si trova solo con il lanternino. Qui è necessario allenarsi, allenarsi e allenarsi. E la maggior parte delle volte non basta. Perché non vince sempre il migliore. Ma solo chi è convinto di poterlo fare. Ecco perché il mio supereroe preferito è un canottiere. Un Canottiere Oscuro.
Il Canottiere Oscuro
Nella visione romantica che ho di questo sport, mi piacciono quelli che prima non ce la fanno. E poi invece sì. Quello che fa esaltare ai miei occhi un atleta come Romano Battisti è la storia che si porta sulle spalle. Spesso più pesante delle medaglie che si mette al collo. Per le battaglie che ha dovuto combattere. Contro se stesso e contro gli altri, che hanno fatto di tutto per fermarlo. Perché il male esiste anche nella nostra Gotham City remiera.
E quella di Battisti è una storia che parte da lontano. Di quelle col destino già scritto. Perché quando Alessio Sartori vince a 24 anni l’oro in quattro di coppia all’Olimpiade di Sydney, Romano è un ragazzino di 14: guarda quell’impresa in Tv e decide che pure lui vuole vincere un’Olimpiade. Quasi dodici anni dopo, le loro strade si incontrano: sono già compagni di squadra alle Fiamme Gialle e, con il loro allenatore Franco Cattaneo, fanno una scommessa: formare il doppio che andrà a Londra, allenandosi in società, e a soli cinque mesi dai Giochi.
Sì, perché per la Federazione Italiana Canottaggio non sono idonei a far parte del “dream team” olimpico. Lavorano, sudano, soffrono ogni giorno. Finché il doppio Sartori-Battisti non diventa il primo, il più forte. Più di quelli presentati dalla Federazione e che dovrebbero tentare la qualificazione in extremis durante la Coppa del Mondo di Lucerna. E proprio in Svizzera, vincono loro. È un sogno che si avvera. Poi arriva Londra 2012 e la cavalcata finale che li porta a un argento che vale forse quanto due Olimpiadi. E che per poco più di sei minuti ha scaldato il cuore di migliaia di tifosi. Regalando pure a loro, pure a noi, un sogno che non svanirà mai.

Per capire cosa significa dovreste provare a scalare una montagna, come quelle da cui è partito per diventare un uomo d’acqua dolce. E il canottaggio è una scalata estrema. A mani nude. Per gli allenamenti che richiede. Per lo sforzo che esige dal tuo corpo e dalla tua mente. Perché all’inizio nessuno voleva fare barca con lui. Perché era un “chiodo”. E anche oggi, che è diventato un “martello”, a distanza di anni da quell’impresa, dopo che altre medaglie sono arrivate ad arricchire il suo Palmares, lui è ancora alla ricerca dei propri limiti. Sempre troppo severo con se stesso.
E io lo ammiro. Perché alla fine ha scelto il bene, dopo aver combattuto a lungo il suo lato oscuro. E ogni tanto, quando parliamo, gli ricordo l’importante ruolo che ha nel mondo del canottaggio. E che vinca o perda non ha alcuna importanza. Lui è e resterà sempre un supereroe di questo sport. Anche se mi dice che esagero, che poi i suoi compagni di squadra “lo massacrano”. Ma non ti devi preoccupare Romano, anche io ho letto i fumetti. So benissimo che devi rispondere così. Il tuo segreto è al sicuro e non rivelerò a nessuno la tua vera identità. Quindi io faccio finta di niente ma tu, ti prego, continua così. Perché il mondo (del canottaggio) ha ancora molto bisogno di te.