L’importante è finire

Dai primi di settembre, la sveglia mattutina trova il giorno ancora assopito. Con l’odore del caffè che riempie la stanza, i primi raggi di luce annunciano il risveglio del giorno e della vita. Ma oggi, no. Come annunciato dal meteo, stanotte ha piovuto e il cielo è plumbeo. Non le sbagliano più, le previsioni! Anche dopo aver sorseggiato il caffè, resto nella penombra del grigio mattino. Come il mio stato d’animo.

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M’affaccio alla finestra e guardo su. Cerco di aggrappare le mie speranze a quello squarcio di luce che, in lontananza, ha fatto breccia sulla fitta barriera di nubi, cariche di pioggia. Cambierà il tempo? Tra qualche ora? Forse. Ma non si può attendere. I tempi dell’allenamento mattutino sono incalzanti. Alle otto bisogna essere al lavoro.

L’importante è finire

In auto, percorro il ponte che mi porta sul lungomare di Bari. Il mare scuro e ondoso manifesta la sua indisponibilità ad accoglierci. E’ mosso più di quanto avessi potuto immaginare. Incute rispetto. Da fine giugno, il caldo e i colori dell’estate hanno fatto da cornice a tutti i nostri allenamenti. Oggi, i toni e la temperatura sembrano il preludio delle stagioni fredde. Usciamo dallo spogliatoio in silenzio. Sotto una pioggia leggera e fastidiosa, ci avviciniamo alla palestra. Eccoli. Sono lì ad attenderci. Minacciosi. Ci danno le spalle. Sembrano risentiti. Li abbiamo trascurati da troppo tempo. Con delicatezza, solleviamo le due gambe metalliche posteriori, poggiando il peso dell’attrezzo sulle ruote anteriori. Evitando gli ostacoli, li trasportiamo verso l’apertura della palestra, nella speranza che lo scenario esterno sia meno noioso della nostra immagine riflessa nello specchio.

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Regolo l’altezza della pedaliera e il drag factor. Parto con il movimento di voga. Dopo poco, mi seguono Jimmy e Roccia. Previsti 15 minuti di riscaldamento. Dopo 7 minuti, esclamo con decisione “Riscaldato!”. “Ma come? Già passati?”, replica Jimmy. “Io ho incominciato prima!”. Mento ma sono convincente. Ci mettiamo in posizione di partenza per 5 ripetizioni da 15 colpi. Pronti via! Già finite! Che bello! E ora? Il programma annuncia quanto di più drammatico un canottiere master possa attendersi: 12 km a passo costante di 22-24 colpi al minuto. Uno stillicidio. Una monotonia che può destabilizzare il più virtuoso e motivato vogatore in carriera! Ma tre master, due “F” e un “D”, centosettantaquattro anni in totale, in una tenebrosa giornata di fine estate, perché lo fanno? Mi interrogo su questa delicata questione. Non è sufficiente ricorrere alle immagini del piatto di patate riso e cozze che mi attende a pranzo.

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Prima che riesca a trovare una risposta al mio dubbio esistenziale, Jimmy e Roccia partono. Azzero il contatore e mi metto in movimento anch’io. Il mio sguardo è sul display. 2:02/500 m. Devo cercare di rimanere su questo valore. Spero che questo obiettivo possa sostenere la mia motivazione durante l’allenamento. L’occhio fissa quel numero. Uno, due, tre… Ma che faccio? Conto i colpi? Beh, se 12 km equivalgono a 12.000 metri e se 120 colpi sono circa 1.000 metri, dovrei moltiplicare 120 per 12… Uhm… Allontano questo pensiero dalla mia mente! Il totale potrebbe essere devastante per il mio morale. Cerco sul display il dato sui metri già percorsi. Caspita! Solo 700 m! Svincolo veloce e vado avanti. “Palata piena fino alla fine!”. Mi viene in mente la voce di Bepi Altamura. Spingo con le gambe, chiudendo con le braccia il finale al petto. E poi, via le mani. Non guardo più il display. Penso a questo movimento. Sono concentrato solo su questo. Guardo il display. Segnala 900 m. Non è possibile! Alzo lo sguardo, fuori dalla palestra. Riconosco il gruppo di arbitri che ha finito l’ora di corsa. Questa distrazione mi permette di recuperare qualche metro. Un altro colpo. Ecco! Finalmente! Superati i primi 1.000!

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Riprendo a concentrami sulla palata. Sono ancora abbastanza fresco. In questi momenti di avvio, le forze fisiche aiutano a superare le debolezze psicologiche che accompagnano i movimenti in una malinconica palestra. Un colpo. Un altro colpo. Ho fatto ancora troppo poco. Riguardo il ritmo. Sono 24-25 colpi al minuto e sono salito a 2:05/500m. Chiudo meglio il finale. Devo concentrami su questo. Un colpo. Un altro colpo. Il naso incomincia a grondare di sudore. Gli occhiali mi danno fastidio e vorrei sistemarli meglio sul naso. Durante la ripresa, con la spalla cerco di raggiungerli. Il tentativo è maldestro. Dovrei fermarmi. No. Non posso! Guardo il display, 1.850 m. Un colpo. Sto sudando. Il display segnala 2.000 metri. Guardo i minuti trascorsi. Sono poco più di 8. Vuol dire che se moltiplico 8 per… No. Sono più di otto. Arrotondo a 9. No, facciamo 10. Il calcolo è più facile. Bene 10 minuti devo moltiplicarli per cosa? Si. Allora, 12.000 metri sono 6 volte 2.000 metri. Quindi 6 va moltiplicato per 10. No! 60 minuti? Troppi. Se così fosse, arriverei tardissimo al lavoro!

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Guardo fuori. Pioviggina. Non avevamo alternativa a questa punizione! In sottofondo, sento il rumore dell’aria espulsa dalle ventole dei miei due compagni. Sono posizionato davanti a loro. Non posso guardare i loro tempi sul display. Solitamente si fa finta di non essere interessati alle prestazioni dell’altro. Ma sappiamo tutti che non è mai così. Devo andare più forte per terminare prima la distanza . Un colpo e un altro ancora. 1:58/500m. 1:55/500. Mi vengono in mente le parole del cardiologo. Ieri abbiamo effettuato la prova da sforzo, obbligatoria alla nostra età. Più tondo che alto, più cabarettista che medico, ci ha più volte ricordato, sorridendo: “Statev accurt!!! A na certa età… statev accurt! Qualche arteria pote schiattà!”. Vuoi vedere che mi succede qualcosa veramente? Rallento. 2:02/500m. 2.890 m. Si. Tra un po’ arrivo a 3.000m. Un colpo. Un altro colpo. Ancora un altro. Non penso a niente mentre vado su e giù col carrello. Guardo il display. Finalmente. Superati i 3000m. Io vogo e la mente vaga, in cerca di pensieri. Dai, su! Se arrivo a 3.300, psicologicamente mi proietto sui 4.000m. Sì, ai 4.000 posso fare un semplice calcolo. Devo moltiplicare il tempo complessivo per tre. A proposito. Quanto tempo è passato? Quasi 13 minuti e sono a 2:06/500m. No! Non va bene! Dai. Devo chiudere bene il finale.

Sala-remoergometri

2:04/500m. Altro colpo. 2:02/500m. Va bene così. Guardo il mio orologio. Sono le 7 e 15. Ecco, devo assolutamente capire quando finisco l’allenamento. Non sarà colpa mia se sarò costretto a fermarmi prima per non far tardi al lavoro! Occhio al display. 2:03/500m a 24 colpi. 3.600 m. Non me ne sono quasi accorto ma oramai sono ai 4.000. Un colpo. Un altro colpo. Non penso a niente. Non voglio guardare. Un colpo. Un altro colpo. Guardo? No. Un colpo. 3.890m. Non posso scoraggiarmi. Dai ci siamo, quasi. Un colpo. Un altro colpo. Fatta! Superati i 4.000. Adesso, con calma. Non sono ancora arrivato a 17 minuti. Arrotondo a 17. Per 3. Quanto fa? Un colpo. Un altro colpo. Quanto fa? Occhio al display. 4.320 m. Allora, 17 x 3, quasi 50 minuti. Si dai. Guardo il mio orologio. Finirò in tempo. E poi, oggi non mi attarderò nel trasporto della barca e dei remi.

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Guardo il display. 4.860m. Dai sono quasi arrivato ai 5.000. Ai 6.000 sarò a metà allenamento! E vai! Questo pensiero mi dà la giusta carica. 2:02/500m, 2:00/500m! A cosa devo pensare? Rifaccio il calcolo? Beh si. Lo rifaccio. Un colpo. Un altro ancora. 5.330m. Tra un pò supero i 5.500. Chiudo gli occhi e mi concentro sul movimento. Un colpo. Un altro colpo. Ancora un altro. E dai! 5.900m. Eccomi sono quasi arrivato! 6.005 m. Ha smesso di piovere. Ora sono solo concentrato sullo sforzo fisico. Il peggio sembra essere passato. 6.350 m. Chiudo bene il finale. Spingo di gambe. 6.550 m. Prossima tappa, arrivare ai 7.000. Ci sono. Chiudo gli occhi. 7.300 m. Siamo vicini ai 7.800 m. Ma si. Dopo ci saranno gli 8.000. Tutto sembra andare più veloce. Anche il racconto. 8.400 m. Un colpo. Supero i 9.000m. Non penso più a niente. Va tutto più veloce. 9.900m. Ecco! 10.000m! 11.000m! Gli ultimi 1.000 m. Respiro forte. Chiudo gli occhi. Un colpo. Respiro. Finito!

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