Tutto, altrimenti lascia stare
Il canottaggio non si inventa. Così mi è stato insegnato. Remare non è come calciare un pallone, dove il talento naturale può fare la differenza. Qui serve tempo, pazienza e tanto lavoro. Lo stesso Giuseppe La Mura, padre del canottaggio italiano, ha detto: «Il talento da solo non basta. Ormai vince solo un atleta ben allenato, che rema meglio degli altri».

Perché qui la fortuna non esiste. La barca che taglia per prima il traguardo non è mai lì per caso. Tuttavia, esistono dei momenti, non molti a dire la verità, in cui l’invalicabile confine tra il possibile e l’impensabile, tra quello che vorremmo fare e quello che si può, viene oltrepassato. Il 24 settembre del 2017 è uno di questi momenti.
Tutto, altrimenti lascia stare
Mondiali di Sarasota, Stati Uniti d’America. Finale del 2-. Peppe Vicino e Matteo Lodo. Nei due anni precedenti si sono già messi al collo un oro mondiale nel 4- (con Marco Di Costanzo, Matteo Castaldo) e un bronzo olimpico, sempre sulla stessa barca (con Domenico Montrone al posto di Di Costanzo). Stavolta ci provano nel 2-, specialità che li ha già visti primeggiare pochi mesi prima agli Europei di Racice. Favorita, però, è la Croazia dei fratelli Martin e Valent Sinkovic, che si preparano a sbrigare quella che reputano una formalità. Le telecamere indugiano sul viso dell’alfiere azzurro che porta il mio stesso nome. Lo guardo anch’io.

Ci fissiamo negli occhi per un interminabile istante, ma dietro quell’impenetrabile maschera di concentrazione non vedo niente. Ma è un attimo, poi capisco. Lui lo sa già. Prima no e magari a fine gara lo avrà dimenticato, ma in questo preciso momento, a pochi istanti dal via, sa che vincerà. Glielo si legge negli occhi. Ma devono trascorrere ancora 6 minuti, 16 secondi e 22 centesimi. Prima, ci sono 1750 intensissimi metri passati a inseguire. I Sinkovic sono pura potenza. Viaggiano in testa con il minor numero di colpi di tutti gli altri. Fino a questo momento, Vicino e Lodo hanno lasciato correre la loro barca dove voleva, accompagnandone il suo imprevedibile volo sull’acqua. Ma sono stanchi. Distrutti. Peppe e Matteo sono già oltre il limite, in un luogo inospitale dove manca l’aria, l’energia è finita e dietro ogni colpo ti aspetta la crisi nera, il crollo.

Ma se è vero che nel canottaggio il momento giusto non esiste, Peppe Vicino decide di provare a beccare quello sbagliato di poco. Si tratta di un momento unico e preciso e quel momento è adesso. Mai aspettare le mosse degli altri. Niente pensieri, calcoli o prudenze. Il capovoga azzurro deve dare tutto. Anzi no, tutto non basta. Deve trovare dentro di sé qualcosa in più rispetto a quello che ha. A quello che hanno i suoi avversari. Deve fare tutto lui e lo deve fare subito. E dentro di sé ci trova altri tre colpi, nascosti chissà in quale remoto angolo. E sale a 46, contro i 43 degli avversari. “Oh my God! Oh my God! What is happening now?!”, strilla lo speaker.
Non hanno nemmeno il fiato per parlarsi, ma Peppe e Matteo sentono la stessa voce: “Andiamo a vincere”. E così decidono di provarci insieme, ancora una volta. Si girano verso i loro avversari. Una, due, tre volte. Stringono i denti e continuano a spingere sulle gambe, mentre i Sinkovic iniziano a perdere terreno. Sono cento incredibili metri. Peppe e Matteo adesso volano sull’acqua al contrario dei croati. E non perché non stiano soffrendo. Anzi. Ma mentre nella sofferenza i Sinkovic affondano, loro ci remano sopra. Il finale è al cardiopalma e si conclude con un 6:16:22 Italia, 6:16:56 Croazia. “Unbelievable!”. Incredibile.

Perché al di là di tutte le regole, delle previsioni, delle ipotesi e di ogni possibile calcolo, che poi altro non sono che i limiti dentro i quali decidiamo di rinchiuderci, non dobbiamo mai dimenticare che esiste un luogo dove i nostri sogni vivono in libertà. Un posto meraviglioso che non si raggiunge a forza di passi corti e prudenti, ma solo con la pazzia dell’improvvisare e il coraggio di gettare tutti gli atomi del nostro corpo allo sbaraglio, lasciando che le nostre emozioni ci scaraventino oltre quel confine che fino a un attimo prima abbiamo chiamato impossibile.