Lettera aperta a Filippo Mondelli ovvero caro Pippo n’cè devi provà… ce devi riuscì!

Caro Filippo Mondelli, la tua è la storia di tutti noi. Di come la vita stravolga i nostri piani. Senza avvisare. La tua vicenda mi ha colpito molto, perché è così assurda, ingiusta, che persino se te la inventassi in un romanzo ti direbbero che hai esagerato. Che non è credibile.

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Eppure è reale: nel 2018, sei uno dei 4 azzurri che riporta il 4 di coppia italiano al titolo iridato dopo 20 anni. Poi, con il bronzo del 2019, ottieni il pass per le Olimpiadi di Tokyo 2020. E adesso, invece di cogliere la tua grande occasione, devi combattere per la tua vita.

N’cè devi provà… ce devi riuscì

La realtà avrebbe potuto far accadere un’infinità di cose per lasciarti a terra, ma ha scelto la più tremenda: un osteosarcoma. Ma io, che sono fatto della stessa sostanza del copridivano, sono l’ultima persona al mondo che possa dirti qualcosa. Eppure, giuro che se fosse per me sarei già lì ad abbracciarti e a dirti che andrà tutto bene. “Peppe, l’unica cosa da non chiedere a chi sta combattendo contro un tumore è: come stai?”, mi ha spiegato il mio mentore Mario Palmisano. “Perché anche se non te lo dirà mai, sta male. Malissimo. Allora parla di banalità. Perché in questi casi, la normalità diventa la cosa più speciale che si possa desiderare”.

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E io mi fido, perché Mario questa battaglia l’ha già affrontata e vinta. Anche se i dubbi restano. D’altronde, cosa ne so io del cancro? Di quello che affronta ogni giorno chi lotta contro un tumore? Ho iniziato a chiamarlo per nome solo dopo aver conosciuto Mario, altrimenti sarei ancora uno di quelli che lo chiamano “brutto male”. Che poi non si capisce nemmeno perché. Se per un qualche inspiegabile senso del pudore o semplicemente per paura. E l’aspetto più paradossale della paura non è tanto quello che fa a te, ma a chi ti sta accanto. “Non bisogna avere paura di stare vicini alle persone malate di cancro”, mi ha detto Mario. “Pensa che io sono stato lasciato dalla mia ragazza proprio durante la chemioterapia. Era troppo spaventata o non era in grado di capire bene quello che mi stava accadendo. Ma stare accanto a chi è malato è fondamentale. Il supporto della mia famiglia e degli amici è stato di grande aiuto nella mia battaglia”.

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E tu non sei solo, caro Filippo. Io non sono un uomo di fede, perché non credo in Dio. Però credo nelle persone perbene. Perché sono un uomo di fiducia, che è una cosa molto più umana, fragile e resistente insieme. E ho fiducia in te. Nell’esatto momento in cui hai detto agli altri, e a te stesso per primo, “Ho un osteosarcoma aggressivo”, hai fatto un passo fondamentale in quella che è diventata la tua gara più importante: chiamare il tuo avversario per nome. Fino ad oggi ti sei sempre allenato come un capitano, ma adesso dovrai imparare a remare come un Pirata e andare all’arrembaggio di questo avversario ostico, ma non impossibile da battere. E il tesoro che troverai alla fine di questa sfida sarà più prezioso di quanto credi. E non perché ti renderà ricco, ma perché farà di te un uomo libero.

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Mario mi ha insegnato a non arrendermi e ad alzare le mani solo per fare domande o meglio ancora per festeggiare. Magari proprio una tua vittoria. A Parigi 2024, dove tornerai a scrivere la tua storia remiera e dove racconteremo di un altro finale. Anche se domani sarà un’altra giornata difficile. Come tutti i giorni che seguiranno. Ma è proprio qui, dove sta facendo più male, che chi ha la forza deve attaccare. Sono questi i momenti in cui un campione può fare la differenza. Io non so dove troverai la forza di rimanere in piedi. Ma resta forte. Resta coraggioso. Resisti. Lo faremo anche noi, che siamo diventati la tua sgangherata ciurma. Perché la vita, anche quando diventa corsara, è meravigliosa. E va guardata negli occhi, con rispetto. Sempre. E se riesci a sorriderle in faccia, malgrado tutto, anche il Cancro fa meno paura.

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